Intervista su www.booksweb.tv
Nel nulla nebbioso della Bassa Padana, tra cascine povere di cibo, di sogni, di parole, al tempo in cui la campagna scivolava inesorabilmente verso la città comincia una storia di dolore e di amore: quella di una bambina destinata a essere "nessuno". Una povera ragazza che si aggira indifesa nel mondo, dalla miseria della Bassa contadina alla disorientata brutalità delle case chiuse della città. Un uomo le tende una mano con un amore fatto di parole, di piccoli gesti, di sogni minimi: una casa, un figlio, semplicemente una vita. Ma il sole dell'avvenire non sorge su chi è destinato al "nulla", brilla solo per un attimo e poi si spegne. E la storia finisce, ma comincia un romanzo straordinario che dà voce a quelle che non hanno voce, con uno stile vivido, potente e tragicamente reale.
Incontri con l’autrice
mercoledì 16 gennaio 2008
«La vostra storia inizia qui
la nazione
La recensione di BOL
Il paesino deve essere davvero lontano, dimenticato da tutto e da tutti. Il tempo non esiste più, ma la polvere che copre le cose abbandonate, quella c'è ancora. Certe cose scompaiono, altre smettono di esistere. Ma la tenace volontà di chi non vuole farsi dimenticare ha la meglio sul tempo. Così la protagonista del primo romanzo di Lucia Ravera. È lei che detta la sua storia alla giovane autrice. Ci troviamo subito in un campo, poi in una cascina, poi in una famiglia. La mamma. "Che mani aveva la mamma. (...) sul palmo tanti di quei calli, che quando me le dava di passaggio, che dolore, ma quando mi faceva le care, che bellezza". Il fratellino. " (...) Alfonsino, più grande di me di cinque anni, ma un po' sbilenco di crapa dalla nascita". Sono ricordi di una bambina che si divertiva con poco, perché poco aveva. Un giorno nella casa padronale, al posto dei genitori anziani arriva la nuova generazione, coppia sposata con un figlio. Che all'inizio sembra possa sostituire i compagni di giochi immaginari della giovane protagonista, poi ne diventa l'orco. Alla scomparsa della mamma, la ragazzina scappa, il fratello viene messo in un istituto psichiatrico. Da questo momento in poi inizia la nuova vita, forse inizia la storia. Il tentativo di allacciare i rapporti con un padre che ti chiama "bastarda". L'arrivo in una nuova città e la vita da sciantosa. I profumi e i balocchi. Da Piccinina a Eva. Inizia una nuova fase di vita. E la storia va avanti. Qui l'incontro con l'amore, quello di una vita, fatto di baci, di un dono come un frigorifero, da aprire per sentirne il fresco, e di una lavatrice, con la quale attendere il giorno del bucato come se fosse una festa. La vita vera, quella che non esiste più. L'amore fatto di cose semplici e innocenti. L'amore che la salva, la porta via e le fa vivere un sogno. Fino al momento in cui torna il dolore, per una, due scomparse. E la disperazione che non fa ragionare. Fino alla fine della storia... Il linguaggio sgrammaticato è nostalgia, non rabbia per la disattenzione, solo nostalgia. Perché leggerlo? Perché a volte, più spesso di quanto immaginiamo, una storia così fa bene. Per staccare dai soliti gialli, dai soliti psicothriller, dai libri del momento, per una scelta diversa. Per ritrovare parole lontane, musica del passato, sensazioni dimenticate.
Valeria Merlini
RECENSIONI
M a n g i a l i b r i
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La storia finisce qui
Lucia Ravera
Mursia 2008
Nella casa della sciantosa la chiamavano Eva, ma il suo nome è un
altro: il nome è l’unica cosa che è riuscita a proteggere. Perché la vita
non è stata generosa: è cresciuta in una casa che malapena bastava
per tre, lei, la mamma e il fratello Alfonsino, è andata a servizio dai
padroni della cascina e la sua amicizia con Mario, il figlio dei signori,
è stata tradita dalle attenzioni di lui brutalmente trasformate in
violenza, è stata costretta ad abbandonare il paese dopo la morte
della mamma lasciando indietro il suo cane (l’unica vera compagnia
dell’infanzia) e affidando il fratello a un istituto dove nessuno sa
lenire l’angoscia dell’handicap che lo strazia. Sul suo cammino ha
incontrato persone buone: la sciantosa che l’ha avviata alla
professione più vecchia del mondo ma l’ha sempre protetta e a suo
modo amata, l’amica Teresa, l’Ernesto il comunista, e Antonio. Il suo
Antonio. Che l’ama e la riempie di baci, e la sposa nonostante il
matrimonio sia contrario al suo credo politico e alla sua filosofia di
vita. Antonio sa amarla, e il loro bambino sarà il più bello di tutto il
paese. Ma la vita pretende ancora lacrime, e un giorno la felicità
finalmente toccata a mani piene scappa via all’improvviso…
Il romanzo di Lucia Ravera racconta la vita con brutale
i.mmediatezza, usando il linguaggio delle cascine della bassa padana e
insinuando nelle ossa l’umidità delle risaie. La storia di “Eva che non
è Eva” (svelarne qui il vero nome significherebbe raccontare in
qualche modo parte dell’epilogo) è il cammino drammatico e
disincantato di una giovane donna verso l’illusione dell’amore, della
stabilità, di una protezione che nessuno ha mai saputo garantirle se
non per momenti troppo fuggevoli. Illusione meravigliosa e semplice
insieme, destinata a crollare senza spazio per la pietà di fronte al
dramma. E alla crudeltà di una vita segnata fin dalla nascita, fin dal
primo rifiuto di un padre inesistente che non ha la minima intenzione
di conoscere la figlia o sfiorarle il viso con una carezza. Le aspettative
di questa donna errante, sola, abusata sono piccole e probabilmente
banali, eppure appaiono enormi, eccessive di fronte al destino che ha
deciso di toglierle ogni residuo sorriso. E il finale non è altro che un
ritorno annunciato: all’essenza, al controsenso di vivere ai margini di
una strada ferrata su cui i treni passano lanciando fischi nel vuoto dei
campi. La storia finisce qui è un romanzo breve e densissimo, che
lega e appassiona, e strappa lacrime avare come il dialetto della bassa
padana e la terra scura sotto le unghie, che non va via neanche
quando si strofina il sapone fino a farsi male.
mariagiovanna luini
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